Il Rito dell'Uomo Cervo, conosciuto localmente come “Gl'Cierv”, è una tradizione ancestrale che unisce elementi magico-religiosi e scene di caccia, riflettendo aspetti della vita primordiale e della cultura contadina. La rappresentazione simboleggia il passaggio delle stagioni e il rinnovarsi della natura attraverso una morte sacrificale, rievocando antiche paure legate all’ignoto e alla forza indomita dell’ambiente naturale.
In questo rito si ritrova il significato originario del Carnevale, eco dell’arcaico mito dionisiaco, in cui la rinascita del mondo naturale passa attraverso un atto cruento. È, al tempo stesso, una metafora dell’animo umano, che da sempre tenta di esorcizzare l’irrazionale, l’incomprensibile, la violenza incontrollata della natura per restituire alla vita un volto gestibile e ordinato.
La sera dell’ultima domenica di Carnevale, al calar del sole, quando le ombre si allungano sul borgo di Castelnuovo al Volturno e l’aria si fa carica di attesa, la piazza si trasforma in un teatro a cielo aperto.
Ai piedi delle Mainarde, tra le antiche case in pietra, si alzano le grida del popolo: è l’inizio del rito.
D’un tratto, tra fumo, suoni e urla, emerge dal buio l’Uomo Cervo – Gl’Cierv.
Coperto di pelli scure, il volto celato da una maschera animalesca, porta sul capo un maestoso palco ramificato. La sua figura domina la scena, inquietante e arcaica. Si muove con lentezza rituale, poi esplode in corse, salti, grida. Il pubblico, avvolto dall’oscurità, lo osserva sospeso tra timore e fascinazione.
A breve distanza appare la Cerva, creatura speculare, che ne ripete i gesti, lo insegue e lo imita. Insieme compongono una danza primitiva e selvaggia, un duetto di istinti e pulsioni.
Poi arriva il Martino, personaggio ambivalente, mediatore tra caos e ordine. Cerca di domare i due cervi, tenta la cattura, ma fallisce. È allora che interviene il popolo in scena, abitanti del luogo che, con gesti decisi, riescono a legare gli animali mitici, costringendoli a piegarsi alla volontà collettiva.
Sopraggiunge la Popolana, l’unico personaggio che parla. Si rivolge ai cervi con parole ironiche, li schernisce, li sfama. Ma il gesto di nutrirli scatena la ribellione: i cervi si divincolano, si agitano, si ribellano alla cattività.
È a questo punto che entra il Cacciatore, figura misteriosa e sciamanica, che affronta la bestialità senza paura. Con gesto rituale li uccide: i corpi dei cervi si accasciano al suolo, segnando il momento della morte simbolica. Ma subito dopo, con un soffio, con un richiamo arcano, lo sciamano restituisce loro la vita. I cervi si rialzano, trasfigurati. Il caos è stato domato, l’equilibrio ristabilito, la natura si prepara a rinascere.
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